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Mantenimento figli: quando il genitore può dire no

Mantenimento figli: quando il genitore può dire no

A CHE ETÀ IL FIGLIO NON HA PIÙ DIRITTO AD ESSERE MANTENUTO DAI GENITORI?

Nel nostro sistema giuridico (e secondo il criterio del buon senso) i figli devono essere sostenuti anche economicamente dai propri genitori finché non diventano autosufficienti e possono mantenersi da sé. È un diritto di rango costituzionale evidenziato dall’art. 30 della Costituzione Italiana nel quale è previsto che “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”.

Il codice civile all’art. 147 fa eco alla Carta costituzionale prevedendo che entrambe i coniugi (ma vale anche per i genitori non uniti in matrimonio) si interessino di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli

Art. 147 Codice Civile

Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis

L’ordinamento civile non si interessa perciò solo dell’aspetto materiale, ma anche del benessere sociale e spirituale dei figli e attribuisce ai genitori il diritto dovere di contribuirvi nel rispetto delle capacità, delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli, naturalmente nei limiti delle risorse economiche familiari. Quanto all’aspetto economico si deve chiarire che il dovere di mantenimento copre una gamma ampia di esigenze e non si limita solo alle necessità primarie come avvenne per l’obbligo alimentare. Per i genitori di figli minorenni o maggiori non economicamente indipendenti, l’obbligo di mantenimento richiede la fornitura di tutto ciò che è necessario per assicurare ai figli una qualità di vita in linea con lo status sociale ed economico della famiglia tra cui, per esempio, l’alloggio l’educazione scolastica, la formazione culturale, la cura della salute, le attività sportive, la vita sociale, ecc.

fino a che età devo mantenere i miei figli?

Questo è uno dei quesiti principali che di tanto in tanto viene posto all’avvocato.

La questione può diventare alquanto seria. E non si tratta della polemica periodicamente al centro della attenzione della stampa e dei media sui c.d. figli bamboccioni, ma di un autentico fenomeno sociale, non solo italiano a quanto pare, che vede figli non più giovani che ancora vivono con mamma e papà o, comunque, a spese dei genitori. I dati Eurostat forniti nel 2023 informano che di media nei Paesi Ue i giovani vanno a vivere per conto loro a 26 anni e 6 mesi di età. In Italia questo dato sale a 30. E trattandosi di una media vi sono casi che superano sensibilmente i 30 anni. Dunque che fare?

In via generale, si deve tener conto che la valutazione delle circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o no con i genitori o con uno di essi, è effettuata dal giudice del merito caso per caso e con rigore proporzionalmente crescente, in rapporto all’età dei beneficiari, in modo da escludere che tale obbligo assistenziale, sul piano giuridico, possa essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura. L’obbligo dei genitori infatti non può protrarsi sine die, a parte le situazioni di minorazione fisica o psichica altrimenti tutelate dall’ordinamento.

In altri termini, il mantenimento dei figli potrà cessare nei seguenti casi:

  1. quando si siano già avviati ad un’effettiva attività lavorativa tale da consentir loro una concreta prospettiva d’indipendenza economica;
  2. quando siano stati messi in condizioni di reperire un lavoro idoneo a procurar loro di che sopperire alle normali esigenze di vita;
  3. quando abbiano ricevuto la possibilità di conseguire un titolo sufficiente ad esercitare un’attività lucrativa, pur se non abbiano inteso approfittarne;
  4. quando abbiano raggiunto un’età tale da far presumere il raggiungimento della capacità di provvedere a se stessi;
  5. quando vi sono le ipotesi, che inducono alle medesime conclusioni, nelle quali il figlio si sia inserito in un diverso nucleo familiare o di vita comune, in tal modo interrompendo il legame e la dipendenza morali e materiali con la famiglia d’origine.

Sentenze della Corte di Cassazione in materia di mantenimento dei figli

Alcune sentenze della cassazione in tema di mantenimento dei figli soccorrono l’avvocato al quale si rivolgono genitori esasperati.

Così, ad esempio, la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, del 25/09/2017, n.22314, confermando la decisione d’appello che aveva riformato la sentenza di primo grado, ha pronunciato la revoca del mantenimento alla figlia trentacinquenne disoccupata, ma che non era affetta da patologie che ne riducessero la capacità lavorativa.

Similmente la Corte Cassazione, sesta sezione civile, del 12/03/2018, n. 5883 ha confermato la revoca dell’assegno di mantenimento ad un figlio ultratrentenne perché “ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di formazione nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, perché compatibili con le condizioni economiche dei genitori.

Due anni dopo la Corte di Cassazione, prima sezione civile, del 14/08/2020, n.17183 ha ribadito che la maggiore età, tanto più quando è matura, implica l’insussistenza del diritto al mantenimento. La capacità di mantenersi e l’attitudine al lavoro sussistono sempre, in sostanza, dopo una certa età, che è quella tipica della conclusione media di un percorso di studio anche lungo, purché proficuamente seguito, e con la tolleranza di un ragionevole tasso di tempo ancora per la ricerca di un lavoro. Sicché, è onere del figlio maggiorenne ormai divenuto adulto provare non solo la mancanza di indipendenza economica che è la precondizione del diritto preteso, ma anche di avere curato, con ogni possibile impegno, la ricerca di un lavoro.

Infine, più di recente, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, del 10/01/2023, n. 358, in base al consolidato insegnamento giurisprudenziale, puntualmente richiamato nel ricorso, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche dei genitori) aspirazioni”.

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