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Riforma del processo penale: nuove sanzioni sostitutive Riforma del processo penale: nuove sanzioni sostitutive LE NUOVE SANZIONI PENALI SOSTITUTIVE

Riforma del processo penale: nuove sanzioni sostitutive

Le nuove sanzioni sostitutive previste dalla c.d. Riforma Cartabia

La c.d. Riforma Cartabia, entrata in vigore il 19/10/2021, ha evidenziato l’intenzione del legislatore di ampliare la portata dei trattamenti penali che evitino il carcere, in determinate condizioni. Il senso di tale scelta è da ravvisare nella necessità di accrescere l’aspetto della effettiva rieducazione e il reinserimento sociale del reo.

È un dato assodato, infatti, che l’accesso a misure diverse dal carcere riduce grandemente il pericolo di reiterazione del reato ovverosia che il reo, terminata la pena, torni a delinquere. Da tale corretta impostazione deriva, accanto alla risposta comunque sanzionatoria, un evidente effetto risocializzane e riparativo.

Le pene sostitutive riviste dalla riforma Cartabia sono quatto: la “semilibertà sostitutiva”, la “detenzione domiciliare sostitutiva”, il “lavoro di pubblica utilità sostitutiva” e la “pena pecuniaria sostitutiva”. Si tratta di opportunità riconosciute al reo in caso di sentenza di condanna o di sentenza di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e seguenti del c.p.p. (il c.d. patteggiamento) e sono previste dall’art. 20 bis c.p. e dall’art. 53 della L. 24 novembre 1981, n. 689.

Per scrupolo si chiarisce che la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva di cui parliamo in questo articolo non vanno confuse con le misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario con le quali hanno in comune il nome, ma senza l’aggettivo “sostitutiva” è sono concesse dalla magistratura di sorveglianza. Infatti, le pene sostitutive delle pene detentive sono applicate dal giudice del merito nei limiti dell’art. 58 della L. 24 novembre 1981, n. 689 nel quale, in particolare, è stabilito che la pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato o se si riscontrano le preclusioni indicate dall’art. 59 della stessa legge. Inoltre il giudice sceglie la pena sostitutiva che ritiene più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo.

L’esecuzione e la vigilanza sulla esecuzione della pena sostitutiva sono delegate dall’art. 62 della legge citata al magistrato di sorveglianza con l’ausilio delle forze dell’ordine e dell’UEPE (Ufficio esecuzione penale esterna). Il magistrato di sorveglianza, entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza, provvede con ordinanza con cui conferma e, ove necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena. Nel caso di violazioni delle condizioni è possibile la revoca della pena sostitutiva e la parte residua si converte nella pena detentiva sostituita ovvero in altra pena sostitutiva più grave come prescritto dall’art. 66 della legge citata. In caso di revoca non si potranno richiedere le misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario fatto salvo il caso indicato dal comma 3-ter dell’art. 47-ter o.p. per il quale comunque l’affidamento in prova può essere concesso dopo l’espiazione di almeno metà della pena e se il condannato abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla sua rieducazione e assicuri comunque la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. Per le ulteriori patologie nella applicazione delle pene sostitutive si rimanda alla lettura della L. 24 novembre 1981, n. 689. Le sanzioni sostitutive sono comunque a tutti gli effetti forme di esecuzione di una sentenza di condanna e vengono segnalate nel casellario giudiziale.

 

Art. 20 bis c.p.

Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti:

1) la semilibertà sostitutiva;

2) la detenzione domiciliare sostitutiva;

3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo;

4) la pena pecuniaria sostitutiva.

La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni.

Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni.

La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno.

 

 

Le pene sostitutive riviste dalla riforma Cartabia sono quindi le seguenti:

LA SEMILIBERTA’ SOSTITUTIVA

Art. 55 LEGGE 24 novembre 1981, n. 689

La semilibertà sostitutiva comporta l’obbligo di trascorrere almeno otto ore al giorno in un istituto di pena e di svolgere, per la restante parte del giorno, attività di lavoro, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione ed al reinserimento sociale, secondo il programma di trattamento predisposto e approvato ai sensi dei commi seguenti.

I condannati alla semilibertà sostitutiva sono assegnati in appositi istituti o nelle apposite sezioni autonome di istituti ordinari, di cui al secondo comma dell’articolo 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, situati nel comune di residenza, di domicilio, di lavoro o di studio del condannato o in un comune vicino. Durante il periodo di permanenza negli istituti o nelle sezioni indicate nel primo periodo, il condannato è sottoposto alle norme della legge 26 luglio 1975, n. 354, e del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in quanto compatibili. Nei casi di cui all’articolo 66, il direttore riferisce al magistrato di sorveglianza e all’ufficio di esecuzione penale esterna.

Il semilibero è sottoposto a un programma di trattamento predisposto dall’ufficio di esecuzione penale esterna ed approvato dal giudice, nel quale sono indicate le ore da trascorrere in istituto e le attività da svolgere all’esterno.

L’ufficio di esecuzione penale esterna è incaricato della vigilanza e dell’assistenza del condannato in libertà, secondo le modalità previste dall’articolo 118 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.

Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni previste dall’articolo 101, commi 1, 2 e da 5 a 9, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Al condannato alla pena sostitutiva della semilibertà non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

 

Tale sanzione sostitutiva prevede che la persona condannata ad una pena non superiore a quattro anni di arresto o di reclusione possa scontare la sua pena permanendo un numero minimo di ore (otto) all’interno dell’Istituto penitenziario e all’esterno fino a 16 ore per dedicarsi alla attività lavorativa, di studio, di formazione professionale o comunque utili alla rieducazione e all’inserimento sociale. Naturalmente occorre che il programma sia redatto dall’Ufficio esecuzione penale esterna (UEPE) in accordo col condannato e che sia approvato dal giudice di merito che ha inflitto la condanna. La vigilanza e l’assistenza del condannato sono compito del personale dell’UEPE che relazionerà sulla condotta e sul percorso di reinserimento sociale del condannato. La durata della pena sostitutiva equivale a quella detentiva (un giorno di pena sostitutiva corrisponde ad un giorno di detenzione).

Si può notare che l’impostazione data alla semilibertà sostituiva ex art. 20 bis c.p. e applicata dal giudice del processo penale differisce sostanzialmente dalla misura alternativa al carcere della semilibertà prevista dall’art. 48 dell’Ordinamento Penitenziario che può essere applicata dalla magistratura di sorveglianza solo dopo che la condanna è ormai divenute esecutiva.

DETENZIONE DOMICILIARE SOSTITUTIVA

Art. 56 LEGGE 24 novembre 1981, n. 689

La detenzione domiciliare sostitutiva comporta l’obbligo di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in case famiglia protette, per non meno di dodici ore al giorno, avuto riguardo a comprovate esigenze familiari, di studio, di formazione professionale, di lavoro o di salute del condannato. In ogni caso, il condannato può lasciare il domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita e di salute, secondo quanto stabilito dal giudice.

Il giudice dispone la detenzione domiciliare sostitutiva tenendo conto anche del programma di trattamento elaborato dall’ufficio di esecuzione penale esterna, che prende in carico il condannato e che riferisce periodicamente sulla sua condotta e sul percorso di reinserimento sociale.

Il luogo di esecuzione della pena deve assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato e non può essere un immobile occupato abusivamente. Se il condannato non ha la disponibilità di un domicilio idoneo, l’ufficio di esecuzione penale esterna predispone il programma di trattamento, individuando soluzioni abitative anche comunitarie adeguate alla detenzione domiciliare.

Il giudice, se lo ritiene necessario per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa, può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità. La temporanea indisponibilità di tali mezzi non può ritardare l’inizio della esecuzione della detenzione domiciliare. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 275-bis, commi 2 e 3, del codice di procedura penale.

Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 100 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230. Al condannato alla pena sostitutiva della detenzione domiciliare non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

 

La detenzione domiciliare sostitutiva (se ritenuto necessario con l’applicazione del c.d. braccialetto elettronico) può essere applicata alle condanne fino a quattro anni e prevede l’obbligo di permanere per almeno 12 ore al giorno nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora (ad esempio messa a disposizione da un familiare o da un amico o da altri) ovvero in un luogo pubblico o privato di cura, assistenza o accoglienza ovvero in comunità o in casa famiglia protette. Il domicilio deve essere definito “idoneo”. Nelle altre 12 ore il giudice può conceder al condannato di uscire dal luogo di detenzione domiciliare sostitutiva tenuto conto di comprovate esigenze familiari, di studio, di lavoro, di salute o di formazione professionale. Comunque è concesso a condannato di uscire dal domicilio per almeno 4 ore anche non consecutive. Anche in questo caso, come per la semilibertà sostitutiva, il programma deve essere redatto dall’UEPE che relazionerà sulla condotta e sul percorso di reinserimento sociale del condannato. La durata della pena sostitutiva equivale alla condanna a quella detentiva (un giorno di pena sostitutiva corrisponde ad un giorno di detenzione). E’ evidente la differenza con la misura alterativa al carcere della detenzione domiciliare prevista nell’ordinamento penitenziario nella quale il detenuto è obbligato a permanere stabilmente nel domicilio salvo diversa autorizzazione del magistrato di sorveglianza.

 

LAVORO DI PUBBLICA UTILITA’ SOSTITUTIVO

Art. 56-bis LEGGE 24 novembre 1981, n. 689

Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le Regioni, le Province, le Città metropolitane, i Comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato.

L’attività viene svolta di regola nell’ambito della regione in cui risiede il condannato e comporta la prestazione di non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore. La durata giornaliera della prestazione non può comunque oltrepassare le otto ore.

Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.

Fermo quanto previsto dal presente articolo, le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate con decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.

In caso di decreto penale di condanna o di sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, il positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, se accompagnato dal risarcimento del danno o dalla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, comporta la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo, del profitto o del prodotto del reato ovvero delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscano reato.

Al condannato alla pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità non si applica l’articolo 120 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.

 

Il lavoro di pubblica utilità (l.p.u.) è non retribuito ed esercitato in favore della collettività ed è previsto per condanne fino a tre anni di reclusione o di arresto. È forse la formula migliore adottata dal legislatore per spingere chi compie un reato a riparare in parte il danno arrecato alla comunità e incoraggia il reo a rendersi conto che fa parte di una comunità sociale e che anziché nuocerle è possibile esservi utile.

La sottoposizione al l.p.u. deve rispettare le esigenze familiari, lavorative, di studio e di salute del condannato ed è quindi previsto che duri non meno di sei ore e non più di quindici ore di lavoro settimanale. Naturalmente l’interessato può richiedere un maggior impegno di tempo con un massimo di otto ore al giorno. Ogni due ore di l.p.u. corrispondono ad un giorno di condanna.

Il buon esito del l.p.u. può comportare la revoca della confisca (salva l’ipotesi di confisca obbligatoria del prezzo, profitto, prodotto del reato o di oggetti che essi stessi costituiscono reato).

 

LA PENA PECUNIARIA SOSTITUTIVA

Art. 56-quater LEGGE 24 novembre 1981, n. 689

Per determinare l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Il valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.

Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l’articolo 133-ter del codice penale.

 

La pena pecuniaria sostitutiva è prevista per condanne fino a 1 anno di reclusione o di arresto e consiste nella trasformazione della pena detentiva in una sanzione in denaro che viene parametrata al reddito ed alle condizioni di vita del condannato e del suo nucleo familiare da un massimo ad un minimo per giorno. L’intento del legislatore è quello di consentire la sostituzione della pena anche alle persone con minori capacità reddituali e familiari e a tal fine è stata modificata la somma minima di denaro da pagare per ogni giorno di pena detentiva riducendola significativamente dagli originali e 250,00 a soli € 5,00 al giorno (elevabile ad un massimo di € 2.500,00 al giorno).

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