IL FALSO RICORDO NEL PROCESSO PENALE

IL CASO

Tizio viene arrestato con un complice con l’accusa di rapina in danno di un negoziante di elettrodomestici.

La vittima, comprensibilmente scossa, dichiara ai carabinieri intervenuti sul luogo del delitto che: “Ricordo solo che entrambi vestivano con pantaloni lunghi scuri ed uno indossava una felpa con cappuccio. Altro non ricordo in quanto il fatto è durato circa 3 minuti (…). Non sono in grado di riconoscere i rei“. Dalla ulteriore descrizione resa si evince che si tratta di soggetti nordafricani, con carnagione scura, capelli ricci e neri dall’età apparente di 18/20 anni, certamente non italiani perché con accento straniero. La polizia giudiziaria interviene tempestivamente, ma i due rapinatori si sono già dileguati.

Vengono acquisite le immagini delle telecamere esterne di sorveglianza di una banca che si trova di fianco al negozio rapinato e i carabinieri notano una forte rassomiglianza tra due passanti e due soggetti già noti alle forze dell’ordine poiché pluripregiudicati. L’orario pare compatibile con quello della rapina. A distanza di una settimana la vittima della rapina è convocata in caserma e qui le vengono sottoposte nuove fotografie, estrapolate dalle telecamere di sorveglianza. Questa volta la parte offesa riconosce i rapinatori e aggiunge minuzie descrittive: in particolare che Tizio, il soggetto più basso, indossava una maglia a righe. Il Giudice di primo grado non ha dubbi e condanna gli imputati.

L’INQUINAMENTO PROBATORIO.

Propone appello il difensore evidenziando che il dettaglio della maglia a righe non poteva essere conosciuto dalla vittima perché non ne fa cenno nella sua prima deposizione, il giorno stesso della rapina. Si tratta di una immagine che ha visto dopo l’acquisizione delle immagini della telecamera esterna della banca, quindi una settimana dopo la rapina, ma prima di rendere la nuova descrizione delle persone come impone l’art. 213 del codice di procedura penale. Immagine, inoltre, che le è stata sottoposta dai carabinieri quando essi si erano già convinti di aver individuato i due rapinatori e ciò può aver influito di fatto sul ricordo. In tal modo era inquinata la prova principale del processo.

Infatti, al di là della buona fede con la quale si può presumere abbiano operato i carabinieri, la vittima della rapina è stata indotta a rielaborare ex post un ricordo che non aveva. Si è trattata di una condotta superficiale degli inquirenti che necessariamente falsifica la prova.

LA SENTENZA DI APPELLO (n. 4171/13 Corte di Appello di Ancona).

I Giudici di Appello assolvono l’appellante. Essi danno credito alla tesi difensiva. Così scrivono: “va osservato, infatti, che la incontestata circostanza che la persona offesa, (…), nella denuncia raccolta in data (…), alle ore 19,06, dai Carabinieri della Stazione di (…), in ordine ali autori della rapina ai suoi danni, di ricordare <<…solo che entrambi vestivano con pantaloni lunghi scuri ed uno indossava una felpa con cappuccio. Altro non ricordo in quanto il fatto è durato circa 3 minuti (…). Non sono in grado di riconoscere i rei>>, impone di non poter dare migliore credito alla ricognizione fotografica eseguita una settimana dopo mediante in riconoscimento di (…) attraverso la visione di un apposito album fotografico dopo che, estrapolando le immagini ricavate dal sistema di video-sorveglianza presente nei pressi del luogo della rapina a servizio di una vicina agenzie bancaria (…) i Carabinieri del N.O.R. della Compagnia ad (…) avevano isolato quelle riconducibili al (…) ipotizzandone il suo coinvolgimento nel reato”. Il fatto che poi Tizio transitasse a quell’ora nei pressi le negozio non è sufficiente per ritenere che sia l’autore della rapina.

APPROFONDIMENTO

La “ricognizione di persone” deve essere effettuata nei modi di sui all’art. 213 del codice di procedura penale:

  1. Quando occorre procedere a ricognizione personale [361], il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento, se, prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere, se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del riconoscimento.
  2. Nel verbale è fatta menzione degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle dichiarazioni rese.
  3. L’inosservanza delle disposizioni previste dai commi 1 e 2 è causa di nullità della ricognizione.

Osservo che secondo un orientamento giurisprudenziale, decisamente errato ma largamente applicato dai Tribunali, qualora non siano state rispettate le formalità prescritte dalla legge, la ricognizione può essere utilizzata ugualmente per la formazione del convincimento del giudice, a patto che siano considerati e verificati il contenuto e le modalità dell’atto, unitamente ad altri elementi di riscontro, a fronte dell’assenza nell’ordinamento di un principio di tassatività dei mezzi di prova.

In realtà lo scopo principale della procedura è proprio quello di impedire (nella misura del possibile) gli arbitri e gli errori dei magistrati e dalla polizia giudiziaria e, quindi, sarebbe auspicabile una applicazione rigorosa delle regole del codice di procedura.

I falsi ricordi, sono ricordi non autentici, che possono essere totalmente inventati o possono derivare da altri ricordi reali parzialmente alterati e possono crearsi per aggregazione estrapolando frammenti di ricordi diversi che nella mente umana vengono ricombinati insieme. Questo non significa che la persona, come nel caso del processo in commento, intenda mentire, in quanto – almeno nella sua mente – quel dato evento si è effettivamente verificato: la testimone era davvero convinta di aver visto l’uomo basso indossare una maglia a righe, tuttavia il ricordo era posticcio perché la fotografia che ritraeva l’uomo con la maglia a righe le era stata fatta vedere dai carabinieri una settimana dopo i fatti.

Lo psicologo Daniel Berlyne parla di falsi ricordi “momentanei” (o “provocati”) che vengono incoraggiati da un’indagine insistente sulla memoria del soggetto; sono memorie che possono formarsi dall’unione di ricordi autentici per i quali c’è confusione a livello cronologico. In questa tipologia rientrano i ricordi impiantati per suggestione; e di falsi ricordi “fantastici” (o “spontanei”) che spesso nascono da idee stravaganti, ma possono essere convinzioni salde per chi li manifesta.

Un’ulteriore sottocategoria dei falsi ricordi – come nel caso che di interessa – sono i ricordi impiantati per suggestione, che nascono su influenza di esterni. Per esempio, una persona può suggestionarne un’altra inducendola a ricordare un avvenimento mai accaduto, fino a impiantare nella sua mente un ricordo che può essere anche molto ben articolato e dettagliato. La misura dell’influenza di simili interventi dipende soprattutto dalla persona suggestionata e, molto spesso, dalla fiducia incondizionata che questa nutre nei confronti di chi le ha suggerito (consapevolmente o meno) quel falso ricordo.

Sarebbe infatti molto importate che nel nostro sistema processuale venisse introdotta una norma che vieta agli stessi agenti che stanno investigando su un caso di sottoporre il testimone alla ricognizione di persona (il c.d. confronto all’americana). Infatti l’investigatore, come nel caso su esposto, ha già formato la sua ipotesi accusatoria e, pur non volendo e in perfetta buona fede, può influenzare il testimone, anche solo con gesti impercettibili del volto e delle mani o con la postura.

Purtroppo, non è raro nella pratica che agenti di polizia e carabinieri troppo sbrigativi indichino al testimone, ancora prima della ricognizione, la persona fermata o arrestata mentre questa si trova nella sala di aspetto della questura o della caserma: in tal modo il potenziale testimone fissa nella sua memoria il volto di quel soggetto e lo identifica come il possibile autore del reato. Il giudice poi ascolterà il testimone (inquinato) in dibattimento e rischierà di utilizzare, suo malgrado, un riconoscimento falsato, con buona pace della procedura penale e della sua funzione di garanzia.

CONCLUSIONI

Nel nostro caso il processo è andato a buon fine per l’imputato perché il difensore è riuscito a dimostrare l’esistenza di un falso ricordo indotto nella vittima. E soprattutto l’imputato ha incontrato dei giudici d’appello disposti ad approfondire il tema.

Il professionista del diritto pratico (magistrato o avvocato) non può prescindere dalla considerazione che la testimonianza in sede giudiziaria non è esente da fattori di distorsione alle quali si aggiungono le caratteristiche dell’intervistato (età, suggestionabilità ed altre caratteristiche personologiche e/o psicopatologiche) e della modalità di intervista, che se caratterizzata da domande suggestive e fuorvianti può portare non solo alla distorsione del  ricordo originario, ma perfino alla produzione di falsi ricordi.

Per approfondimenti: http://www.psicologiagiuridica.com/

Lascia un commento